Si è tenuto ad Arezzo, il 13 e 14 Giugno 2024, il meeting italiano del progetto europeo KA2 FLAIR4Inclusion.

Da circa venti anni si è iniziato a parlare di Diversity Management. Si tratta di quell’insieme di pratiche e politiche volte a valorizzare la diversità – sia essa relativa al gender, alla cultura, alla religione ecc. – per far emergere i punti di forza di ogni individuo.

L’Unione Europea lo descrive come “lo sviluppo attivo e cosciente di un processo manageriale lungimirante, orientato al valore, strategico e comunicativo, di
accettazione delle differenze e uso di alcune differenze e somiglianze come un potenziale dell’organizzazione, un processo che crea valore aggiunto per l’impresa”. Un simile approccio all’inclusione si è reso necessario in una società sempre più diversificata e in continua evoluzione, in primis per via dei
processi di globalizzazione. Per favorire un apprendimento sostenibile occorre sviluppare mindset e pratiche quotidiane che siano alla base di una “strategia DEI” di successo, incoraggiando:
● Diversità– in aggiunta alle dimensioni classiche di gender, cultura, età sono comprese anche quella di pensiero e di competenza;
● Equità–si delinea attraverso l’organizzazione del lavoro, la cooperazione ed eque e opportunità di crescita;
● Inclusione– tutte le persone nel team sono incoraggiate a contribuire con le proprie idee e opinioni, perché la collaborazione e la comunicazione tra individui sono alla base della creazione di valore.

Questi elementi passano attraverso le emozioni, innescando quei meccanismi di identificazione e di
empatia propri di ogni individuo, il quale sente la necessità di raccontare sé stesso e di esprimersi
liberamente per sentirsi parte di qualcosa di più grande. Secondo Taylor “dobbiamo inevitabilmente
comprendere la nostra vita attraverso modalità narrative, come in una ricerca”. Le persone caratterizzano
la propria identità attraverso una macro narrazione che racconta la storia della loro vita, raccontando le
proprie capacità in base alle soluzioni che hanno trovato ai problemi: passando da vittima a vincitore,
trasformando la debolezza in forza, nel tentativo di annullare o padroneggiare le avversità passate
trasformandole nel loro opposto. Gli esseri umani non si limitano a narrare le storie degli altri, ma amano
raccontare di sé, prestando attenzione ad alcuni eventi e periodi della loro vita. È proprio grazie a questa
memoria episodica e autobiografica che l’essere umano produce ed internalizza una storia di vita
integrativa in continua evoluzione: l’identità narrativa (Singer, 2004 1 ). Nell’ambito delle narrazioni

autobiografiche, un tema di particolare interesse, che sarà affrontato con i membri della comunità LGBTQ,
è l’utilizzo di sequenze redentive (McAdams, 2013 2 ); quest’ultime narrano di una transizione da una
condizione, anche emotiva, negativa ad una positiva. In altre parole, la difficoltà e la sofferenza hanno un
epilogo positivo e producono benefici al sé attuale dell’individuo.

È l’arte dello storytelling, riconosciuto come il miglior modo per trasferire conoscenza ed esperienza,
persuadere e coinvolgere, diffondere valori e credenze. La pervasività della tecnologia ha cambiato il modo
di comunicare, c'è più trasparenza e contatto diretto: in questo contesto si inserisce il visual storytelling,
definibile come un'esperienza narrativa complessa di tipo visivo ed emotivo, che mette l’individuo al centro
del racconto. Esso apporta una componente immersiva ed empatica aggiuntiva rispetto allo storytelling
tradizionale, favorendo una comprensione ed un apprendimento più veloci, che consente di “vivere” la
storia in maniera più profonda. L’epoca che stiamo vivendo è segnata da molte trasformazioni, a cui risulta
necessario rispondere diffondendo quelle “Capabalities” volte a mantenere e a tutelare la democrazia e le
pari opportunità in un contesto di mutamenti continui. “Un’educazione è veramente adatta alla libertà” –
afferma Martha Nussbaum 3 – “solo se è tale da formare cittadini liberi, cittadini che sono liberi non grazie
alla loro ricchezza o alla loro nascita, ma perché sono in grado di orientare autonomamente la propria
razionalità”. È un modo di affrontare le tematiche etico-politiche basate sullo sviluppo, e ancor prima sulla
possibilità di vivere una vita degna per l’individuo, a partire da quelle che sono definite – appunto –
“capability”, che mettono a fuoco una “dignità dell’altro” basata principalmente sulla sua ragion pratica e
sulla socievolezza.